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REBIRTHING EVOLUTIVO
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Le origini del Rebirthing sono molto antiche. Si trovano infatti tecniche simili alla “respirazione circolare” negli esercizi di respirazione dello Yoga (pranayama) e in alcune pratiche purificatrici del Taoismo.
Nei primi anni 70, l’americano Leonard Orr praticando la respirazione circolare immerso in una vasca di acqua calda ebbe una profonda esperienza a livello fisico ed emozionale che interpretò come l’aver rivissuto il trauma della propria nascita.
Egli intuì l’enorme potenziale terapeutico di questa tecnica e, dopo averne adattato le caratteristiche alla cultura occidentale, iniziò a praticarla in California sotto il nome di “REBIRTHING” (appunto “rinascita”).
Inizialmente le sedute venivano eseguite immersi in vasche di acqua calda per ricreare l’ambiente intrauterino ma poi si scoprì che la respirazione circolare dava ottimi risultati anche praticata a “secco”.
Ci si rese conto inoltre che solo poche persone rivivevano l’esperienza della propria nascita e che l’effetto principale di questa tecnica era quello di far riaffiorare e sciogliere i blocchi emozionali accumulati a livello inconscio.
Rimase però il termine “Rebirthing” ad indicare il profondo cambiamento che questa pratica poteva apportare alla propria vita favorendo una vera e propria “rinascita interiore”.
LE SCUOLE DI REBIRTHING
Da allora numerose scuole hanno diffuso questa tecnica di respirazione in tutto il mondo con approcci e denominazioni differenti (Vivation, Respirazione Olotropica, Transformational Breath, ecc..).
Negli anni 80, uno dei primi ad introdurre il Rebirthing in Italia fu lo psicologo milanese dott. Filippo Falzoni Gallerani, il quale sviluppò tale metodo in linea con i principi della Psicologia Transpersonale e fondò l’ARAT (Associazione Rebirthing ad Approccio Transpersonale).
Nel percorso di Rebirthing Evolutivo® propongo tale tecnica integrando tutta l’esperienza accumulata negli ultimi 15 anni di attività professionale nel campo della respirazione.
Al giorno d’oggi ansia e attacchi di panico colpiscono un’ampia fascia della popolazione e la scienza ufficiale generalmente affronta il problema con psicofarmaci ottenendo incerti risultati. L’esame di tutti i casi incontrati, dimostra che la sintomatologia che innesca il panico ha moltissimi punti in comune con le sensazioni indotte dall’iperventilazione. E’ sufficiente infatti un breve periodo di tensione psicologica per indurre soggetti sensibili ad una respirazione incompleta, a cui seguirà poi una grande predisposizione a fenomeni di iperventilazione spontanea, causati dai tentativi dell’organismo di ristabilire una respirazione libera.
Quando fenomeni catartici prendono il controllo della coscienza la stragrande maggioranza degli individui, inconsapevole dell’alterazione del respiro che ha innescato il meccanismo, si irrigidisce con reazioni difensive che aumentano la tensione e generalmente portano a stati ipocondriaci. Il soggetto ha inconsciamente paura di respirare liberamente, teme che lasciandosi andare potrebbe perdere il controllo. A volte è sufficiente un solo episodio di panico perché si inneschi la paura che il sintomo si manifesti di nuovo e questo paralizza le attività con immaginabile sofferenza psicologica.
Generalmente nei ricoveri di “Pronto Soccorso” l’intervento è limitato all’uso di ansiolitici e la terapia più comune è la somministrazione di antidepressivi. Quanto accade in queste situazioni, avrebbe invece rapida soluzione se l’attenzione fosse volta alla radice del problema, ossia lavorando sulla respirazione stessa. Invece di ridurre la respirazione con dei farmaci, si dovrebbe riconoscere che essa stessa é il sistema di cura naturale attuato dall’organismo e che la guarigione viene dal favorire questo fenomeno, senza temerne le momentanee manifestazioni fisiche ed emotive, che sono parte integrante del processo di liberazione.
Respirare profondamente seguiti da una guida esperta, permette di superare rapidamente il momento d’ansia. Il soggetto riconosce che il respiro non può essere dannoso e comprende che le sensazioni di formicolio e parestesia che accompagnano l’esperienza sono naturali risposte dell’organismo precedentemente mantenuto in stato di subventilazione. Un ciclo respiratorio completo termina con piacevolissime sensazioni di rilassamento e pace e si può constatare che i sintomi momentaneamente riemersi durante la seduta, non si manifesteranno più nelle sessioni successive.
I medici spesso hanno poca dimestichezza con i fenomeni psichici associati alla respirazione: quando prendono in considerazione il respiro ne guardano più gli aspetti patologici che le proprietà terapeutiche. Si constata spesso in alcuni di loro idee imprecise e preconcette per quanto concerne i fenomeni associati all’iperventilazione. Si crede comunemente che respirando “troppo” si induca una serie di sintomi legati ad alcalosi e tetania e che queste sensazioni inducano ansia e panico.
E’ di estrema importanza veder chiaro in questo campo, se si vogliono risolvere i problemi di tanti individui che soffrono di tali disturbi, mitigati solo temporaneamente dagli psicofarmaci. Chi sperimenta questa tecnica, dopo poche sessioni, non soffre più di alcun sintomo di iperventilazione anche respirando profondamente e a lungo, al contrario prova sensazioni di lucidità e benessere alle quali segue la totale scomparsa dell’ansia.
Il rapporto tra respirazione ed emozioni represse, appare chiarissimo quando vediamo una persona che tesa e contratta durante la prima fase di una seduta, si libera istantaneamente da ogni rigidità appena entra in contatto cosciente con le proprie emozioni represse. Purtroppo la medicina tradizionale non conosce ancora pienamente le potenzialità terapeutiche del Respiro Circolare (Rebirthing) mentre sarebbe di grande beneficio collettivo l’introduzione di questa tecnica, come il più comune degli interventi.
Tratto da un articolo del dott. Falzoni Gallerani
La respirazione è una funzione essenziale alla nostra sopravvivenza in quanto assicura l’ingresso nell’organismo di ossigeno e l’eliminazione dell’anidride carbonica. Essa consiste in un ciclico alternarsi di inspirazioni ed espirazioni il cui ritmo è regolato da complessi meccanismi nervosi. Esistono tre tipi principali di respirazione:
- Respirazione alta o clavicolare: quando sono soprattutto i muscoli del collo, ad attivare le parti superiori dei polmoni.
- Respirazione media o intercostale: quando sono impegnate soltanto le parti centrali dei polmoni.
- Respirazione bassa o diaframmatica: quando sono attivate soprattutto le parti inferiori dei polmoni, mentre le parti superiori e centrali rimangono meno attive.
Per le normali funzioni quotidiane la respirazione migliore è quella diaframmatica. Essa esercita una forma di auto-massaggio su tutti gli organi interni che ha benefici effetti sulla circolazione linfatica e sulla psiche. Con la tecnica del Rebirthing si ha invece una respirazione totale in cui tutte le parti dei polmoni sono coinvolte. Tale respirazione elimina velocemente le scorie metaboliche e aumenta i tassi di concentrazione di ossigeno nel sangue e nei tessuti, depurando l’organismo e rallentando i processi di degenerazione cellulare.
PERCHÉ DURANTE UNA SEDUTA DI REBIRTHING POSSONO AVVENIRE SBLOCCHI EMOZIONALI?
Se per fenomeni fisici macroscopici come la tetania ciò che avviene durante una seduta di rebirthing può essere spiegato facilmente da un punto di vista biochimico, non è altrettanto facile spiegare tutti quei fenomeni psichici ed emotivi che sono proprio la caratteristica della tecnica. Durante una seduta di rebirthing, il piano di coscienza è decisamente diverso da quello che ben conosciamo ma non si tratta di differenze quantitative (riduzione dello stato di veglia o incoscienza) perché ci si rende conto di essere vigili ed in contatto con la realtà fisica, bensì qualitative e pertanto non spiegabili altrimenti come “altri” stati di coscienza. Inoltre, non è raro avere delle vere e proprie visioni ed è stupefacente come esse abbiano un senso nell’ambito di un percorso psicologico che caratterizza la o le sedute e che nelle sedute di gruppo, a volte, non riguarda un singolo soggetto.
LA RESPIRAZIONE CIRCOLARE È PERICOLOSA?
No, le momentanee sensazioni prodotte dalla respirazione circolare sono passeggere e affatto pericolose, per cui possiamo respirare a volontà senza pericolo. Si deve ricordare che più di una data percentuale di ossigeno non è possibile immagazzinare. In caso di iperventilazione infatti la concentrazione di ossigeno nel sangue aumenta dal 95% al 96%. Con l’iperventilazione si provoca piuttosto il calo dell’anidride carbonica (ipocapnia), ma quando la concentrazione d’anidride carbonica scende al di sotto di una certa soglia l’emoglobina non rilascia più ossigeno. Il calo dell’ossigeno fa nuovamente aumentare l’anidride carbonica e a questo punto l’emoglobina di nuovo rilascia l’ossigeno. In questo modo, comunque si respiri, c’è sempre una autoregolazione verso l’omeostasi.
Tratto dal libro “Rebirthing Transpersonale” del dott. Falzoni Gallerani
Dopo un colloquio iniziale, la persona viene fatta distendere su di un lettino con il corpo completamente rilassato e sotto la guida del Rebirther, inizia ad eseguire la tecnica di “Respirazione Circolare“.
Già dopo i primi minuti si avvertirà un formicolio più o meno intenso in varie parti del corpo (mani, piedi, viso, ecc..) e man mano che si continua a respirare (ma solo nelle prime sedute) le sensazioni fisiche possono aumentare di intensità, variando da persona a persona.
Tutto ciò è del tutto normale e non deve spaventare, perché a questo punto infatti, le difese e le resistenze che abbiamo a livello inconscio si abbassano e ciò fa liberare quelle emozioni (paura, rabbia, sofferenza, ecc..) che normalmente tendiamo a reprimere. C’è chi potrà avere un pianto liberatorio o dare libero sfogo ad un urlo di rabbia o chi semplicemente cadrà in uno stato di profonda rilassatezza.
Alla fine di un ciclo respiratorio completo, (che può durare da circa 30 minuti a più di un’ora), la respirazione tornerà ad essere normale e ci si troverà in uno stato di profondo benessere e pace. A volte durante la seduta possono riemergere ricordi, immagini o emozioni diverse e compito del rebirther è di assistere colui che respira con empatia, professionalità ed amorevolezza.
È altrettanto importante ricordare che ogni seduta di Rebirthing è una cosa a sé, come unico è ognuno di noi con la sua storia, per cui non si devono avere aspettative ma è bene lasciarsi andare alle emozioni e alle reazioni che il corpo e la psiche fanno riemergere di volta in volta.
Riguardo alle reazioni fisiche che emergono in una seduta di Respiro circolare e al concetto di iperventilazione che spesso viene associato al Rebirthing è necessario fare chiarezza perché, sia in ambito medico ma spesso anche tra operatori olistici, non si ha una visione completa di tale pratica.
È vero che in certi casi, nelle prime sedute possono emergere reazioni fisiche intense quali formicolio e irrigidimento anche intenso ma esse fanno parte del normale processo di purificazione fisica ed emotiva e non vanno viste come effetti collaterali. Al contrario tali sintomi, che sono sempre passeggeri e generalmente avvengono solo nelle prime sedute, sono i segnali che il respiro sta lavorando profondamente per liberare i nostri blocchi ed infatti, una volta liberate le emozioni negative trattenute, spariscono lasciando uno stato di profondo benessere e rilassamento.
Ciò che avviene in una seduta di respiro circolare però, non è spiegabile solamente analizzandolo da un punto di vista fisiologico ma va compreso anche da un punto di vista emozionale ed energetico. Se ci limitiamo ad una visione strettamente fisiologica infatti, il fenomeno di tetania (irrigidimento del corpo) deriva dall’iperventilazione (ossia l’aumento degli atti respiratori) che porta, non solo maggior ossigeno all’organismo ma soprattutto, una notevole riduzione dell’anidride carbonica. Da questo, deriva una diminuzione dell’acidità nel sangue (aumento del pH), condizione che viene detta “alcalosi” che porta a sua volta il fenomeno della “tetania” (irrigidimento e contrazione muscolare).
Qui si ferma la visione fisiologica, che non riesce a spiegare ciò che avviene in seguito ma comprensibilmente, considera questi stati dannosi o pericolosi. Per comprendere il processo del Rebirthing, bisogna andare oltre il concetto che abbiamo di iperventilazione. Una visione solamente scientifica non può spiegare infatti perché, durante una seduta, la tetania e ogni tipo di rigidità si sciolgono nel momento esatto in cui la persona si lascia andare alle proprie emozioni, ad esempio con un pianto liberatorio, perdonando qualcuno, accettando la rabbia o la paura che sono emerse.
È tutto il qui il segreto. Nel contesto di una seduta di Rebirthing, dove il respiro è intenso ma anche rilassato e soprattutto consapevole, non c’è pericolo a respirare senza pause, anche per lungo tempo. Attraverso questa pratica, la parola “iperventilazione” perde il significato negativo che gli viene attribuito normalmente. Una maggiore respirazione infatti è la chiave per liberare i blocchi emozionali e la tetania è solo una resistenza momentanea a tale processo. Logicamente, affinché la tecnica sia efficace deve essere svolta in un contesto appropriato, con la giusta assistenza e da una persona consapevole di ciò che sta facendo.
La prova diretta e inconfutabile sono le migliaia e migliaia di persone in tutto il mondo che hanno provato in prima persona la respirazione circolare. Io stesso, in oltre 15 anni di attività professionale ho avuto modo di sperimentarlo quotidianamente, non solo senza problemi di alcun tipo ma aiutando le persone in un processo di auto guarigione fisica ed emotiva che spesso porta ad una trasformazione importante della propria vita.
Questo articolo è del dot. Filippo Falzoni Gallerani, ideatore del Rebirthing Transpersonale.
La meditazione, l’introspezione, l’autoindagine, l’attenta osservazione dei processi coscienziali e mentali sono certamente i mezzi con cui l’uomo può districarsi dai vincoli dei condizionamenti di un vivere meccanico e vuoto. Gesù diceva: «La Verità vi renderà liberi» e «il Regno dei Cieli è dentro di voi». La filosofia (l’amore per la conoscenza), la capacità di dare senso all’esistenza, lo sviluppo dell’intelligenza e della comprensione, l’attenta investigazione della Verità è certamente l’aspetto più importante della vita interiore dell’individuo. Da ciò nasce la capacità di amare la vita. Nell’uomo è insito un programma teso allo sviluppo del potenziale per la realizzazione di serenità e pienezza. L’intelligenza intuitiva da cui si attinge la conoscenza diretta appartiene ai livelli transmentali, che trascendono cioè il pensiero razionale.
È con gli occhi dell’anima che l’anima prende coscienza di sé. Solo la conoscenza dell’anima e l’armonia ci donano la capacità di vivere pienamente una vita creativa e spontanea. Questa conoscenza non è prodotto dell’accumulo di informazioni, dati e speculazioni intellettuali, ma risveglio della coscienza di sé, e accesso a stati non ordinari di consapevolezza, ovvero a nuovi livelli di comprensione. Gli sforzi dell’io e le strategie del pensiero sono inutili nel processo del risveglio. La Grazia, la visione intuitiva e la pienezza giungono a noi quando la mente tace e l’io si dissolve nella consapevolezza. È proprio per facilitare l’induzione di stati non ordinari e il risveglio della consapevolezza che le tecniche di respirazione proposte dal Rebirthing Transpersonale si rivelano particolarmente opportune ed efficaci.
Nella pratica del respiro intenso si entra in contatto con sensazioni immediate e la mente può liberarsi facilmente dai giochi circolari del pensiero, focalizzandosi sul fluire delle sensazioni, che sono spesso intense e coinvolgenti. L’alterazione momentanea dello stato di coscienza favorisce l’allentarsi delle difese dell’io, ed è possibile prendere contatto con le dimensioni inconsce e superconsce. Ottenuto dapprima uno sblocco bioenergetico, l’atteggiamento introspettivo favorisce l’emergere di profondi stati contemplativi. Dalla coscienza del “testimone” che osserva il fluire dei mondi creati dalla mente, e dal suo immedesimarsi in sé nel Sé, si raggiunge l’ineffabile stato non-duale d’Unità con il Tutto.
L’accesso allo stato di risveglio e al silenzio mentale, oltre il quale non ci sono parole per alcuna descrizione, non è un’esperienza rara riservata solo ai praticanti avanzati, ma può manifestarsi a chiunque si ponga nell’auto-osservazione con l’atteggiamento opportuno, e si riscontrano ben evidenti benefici in coloro che raggiungono il fondamento dell’essere in questi momenti ineffabili. Il raggiungimento dei livelli superiori della consapevolezza avviene attraverso un progressivo risolversi dei nodi dei livelli inferiori d’identificazione (con il corpo, gli istinti, le emozioni e il pensiero). Nell’esperienza ultima il “nodo dell’io” è tagliato, ci si congiunge con la natura profonda dell’essere, e una nuova nascita e una nuova vita si dispiegano per noi.
L’ansia, un problema che attualmente colpisce gran parte della popolazione e sul quale c’è ancora poca consapevolezza. Ma di cosa si tratta esattamente? La risposta in realtà è semplice, l’ansia è un’emozione che sentiamo sul corpo. O meglio, un’emozione negativa che stiamo cercando di trattenere e che per questo si scarica sul corpo.
Tutte le volte infatti che proviamo rabbia, paura o sofferenza e cerchiamo di soffocare tali emozioni, queste si manifestano sul corpo attraverso quei sintomi fisici che più o meno tutti conosciamo: peso sul petto, sensazione di mancanza d’aria, respiro bloccato, vampate di calore, ecc.
Le emozioni che creano l’ansia possono derivare dal passato o da situazioni del presente ma i sintomi fisici che sentiamo sono solo la manifestazione sul corpo di ciò che stiamo trattenendo a livello emotivo. Per sciogliere l’ansia è quindi necessario liberare l’emozione che ne è all’origine.
Tutti sappiamo che tra respiro ed emozioni c’è una connessione estremamente diretta. Se siamo sereni il nostro respiro è rilassato, se abbiamo paura il respiro è trattenuto, se proviamo rabbia il respiro diventa irregolare. Per questo motivo, ogni volta che blocco un’emozione negativa, blocco anche il respiro, (da questo deriva la sensazione di mancanza d’aria che si ha durante le crisi d’ansia).
Allo stesso tempo, è vero anche il contrario, ossia che quando sblocco il respiro, sblocco le emozioni trattenute. Durante una sessione di Rebirthing ad esempio, che è un respiro senza pause, intenso e profondo, il vissuto emotivo che in passato abbiamo soffocato, comincia ad affiorare.
Può capitare che si liberi un pianto che avevamo soffocato, una rabbia inespressa o una paura che avevamo nascosto. Se accogliamo ciò che emerge senza resistenza, le emozioni negative si sciolgono e sintomi come ansia o panico spesso spariscono in breve tempo, ripristinando una respirazione corretta e portando un benessere profondo e duraturo.
Cristiano
La meditazione sul respiro è un argomento a me particolarmente caro, con il quale ho cominciato il mio percorso di ricerca. Si tratta di una delle tecniche di meditazione più antiche che precedono l’avvento del Buddhismo, anche se fu proprio il Budda a riscoprirla 2500 anni fa e diffonderla, come pratica per il risveglio e la liberazione dalla sofferenza.
Il termine sanscrito per indicare la meditazione sul respiro è Anapanasati che significa “concentrazione sull’inspirazione e sull’espirazione”. A differenza del pranayama dello Yoga o del Rebirthing, la meditazione sul respiro non è una tecnica di respirazione e neppure un esercizio fisico.
Si sta semplicemente seduti, in silenzio, osservando nella pancia, il respiro che entra e che esce. Quando inspiriamo la pancia si solleva e quando espiriamo la pancia si abbassa. Continuiamo ad osservare i movimenti dell’addome. In alternativa è possibile sentire il flusso dell’aria sotto le narici, ma personalmente questa modalità mi risulta meno naturale.
Durante la pratica non dobbiamo modificare il respiro, lasciamo che la respirazione sia naturale, così come viene. Non parliamo di concentrazione ma solo di “osservazione consapevole”. Se stiamo sul respiro la mente si calma ed entriamo nel “qui ed ora”.
All’inizio ci perderemo tante volte, arriveranno i pensieri a portaci via e noi dovremo semplicemente tornare sul respiro senza giudicare o agitarci. La meditazione sul respiro è una delle meditazioni più semplici ma per noi occidentali può risultare complicata perché siamo abituati a fare sempre qualcosa.
Anapanasati invece è uno stato completo di “non-fare”. Nessuna visualizzazione, nessuna voce che ci guida, osserviamo il respiro senza pensare ma “semplicemente esistere”. Per questo ci vuole tempo e un po’ di pazienza. Il segreto è farlo senza aspettative, senza un obiettivo. A poco a poco, la mente si purifica e potremo raggiungere quella calma mentale che è la chiave di ogni trasformazione interiore.
Quello che consiglio è cercare di meditare divertendoci prendendola come un gioco, e scopriremo che senza andare da nessuna parte, possiamo vivere un’esperienza molto profonda e ritrovare una pace e una gioia che non pensavamo di avere ma sono sempre state dentro di noi.
L’ascolto empatico è una modalità di comunicazione che aiuta a far sentire le persone comprese e accolte senza giudizio. Quando ascoltiamo qualcuno che sta vivendo una momento difficile, dobbiamo ricordare infatti che la prima cosa di cui ha bisogno non è tanto quella di essere consigliato, che può essere utile in un secondo momento, ma quella di sentirsi capito.
Sentirsi veramente compresi infatti, diminuisce il dolore emotivo, rilassa e aiuta a ritrovare le nostre risorse interiori. Per fare un buon ascolto empatico però è importante seguire alcuni punti precisi. Il primo è quello di imparare ad ascoltare SENZA GIUDICARE se quello che ci viene detto è veramente importante o meno secondo i nostri valori. Che una persona ci parli di un grave lutto o di un piccolo litigio, se quella cosa, in questo momento gli crea disagio, io devo accoglierla incondizionatamente, perché ognuno vive le cose in maniera soggettiva.
Il secondo punto è quello di non utilizzare le cosiddette BARRIERE COMUNICATIVE ossia quelle classiche frasi che diciamo per cercare di aiutare ma che in realtà hanno l’effetto contrario. Parole come “devi reagire.. vedrai che ce la fai.. tu sei forte” in realtà non aiutano come pensiamo, ma fanno sentire più soli e incompresi.
È quindi importante conoscerle e se vogliamo aiutare veramente qualcuno, cercare di evitarle. Su questo argomento ho creato un articolo e un video specifico che vi invito a vedere, nel mio sito. Infine, dopo aver ascoltato con attenzione le parole dell’altro, cerco di mettermi nei suoi panni per capire cosa sta provando.
Per fare questo posso anche utilizzare dei RIMANDI che sono delle frasi che aiutano chi abbiamo di fronte, a sentirsi più accolto e compreso. Si tratta di ripetere con le nostre parole il sentimento che la persona ci ha trasmesso.
Ad esempio: se nostro figlio dice “Luca non mi ha invitato per il suo compleanno. Non lo voglio più vedere!” Anziché cercare di sdrammatizzare o dare qualche consiglio, che in questo caso non è neanche richiesto, potremo dire semplicemente “sei molto arrabbiato con luca..” oppure “ci sei rimasto male”.
Il rimando è semplicemente una frase dove esprimiamo l’emozione che ci è arrivata. Un altro esempio è se una persona ci dice: “nessuno mi vuole bene”. Anziché rispondere che non è vero, o cercare di tirarle su il morale, sarà più utile accogliere quello sfogo dicendole “ti senti sola..” o “è un momento difficile..”
Ricordiamo che il rimando non è un ripetere fine a sé stesso ma una sorta RISPECCHIAMENTO EMPATICO che se fatto col cuore aiuta a sentirsi capiti e accolti. Logicamente non deve essere ripetuto continuamente, bastano poche volte ma se riusciamo a dire le parole giuste al momento giusto, avremo dato un aiuto concreto a quella persona per affrontare il suo momento di difficoltà.
Cos’è una relazione di aiuto e quali sono le caratteristiche necessarie per renderla sana ed efficace?
Oltre a quelle svolte da professionisti come counselor, psicologi, ecc., in un senso più ampio possiamo affermare che la nostra vita è costellata da piccole e grandi relazioni di aiuto. Pensiamo alle nostre amicizie, alle relazioni di coppia, al rapporto coi genitori e a quello coi propri figli.
Ogni volta che una persona porta ad un’altra, un suo carico emotivo, siamo di fronte ad “relazione di aiuto”.
Non importa quanto grande o piccolo sia il suo disagio. quello che conta è la voglia di condividerlo da una parte e la disponibilità ad accoglierlo dall’altra.
Affinché però una relazione di aiuto possa essere veramente efficace e arricchente sono necessarie 3 caratteristiche.
La prima è l’EMPATIA, ossia la capacità di sentire e comprendere le emozioni dell’altro. Si tratta di una abilità che può crescere con le nostre esperienze di vita e in una relazione di aiuto è una condizione indispensabile, a patto che riusciamo a non farci carico del mondo emotivo dell’altro, riuscendo ad accoglierlo senza confonderlo col nostro vissuto.
La seconda caratteristica di una sana relazione di aiuto è l’ASSENZA DI GIUDIZIO. Nel percorso di crescita personale non giudicare gli altri rappresenta uno dei livelli più alti di evoluzione. Noi viviamo costantemente nel giudizio, spesso anche durante una relazione di aiuto. Sarà capitato a molti di noi di pensare che quella persona sta esagerando, che c’è chi sta peggio, ecc. Imparare ad astenerci da tali atteggiamenti ricordando che ognuno vive le situazioni in base al proprio vissuto, sarà quindi non solo una pratica per la nostra evoluzione, ma renderà il nostro ascolto molto più efficace.
Infine abbiamo l’AUTENTICITA’, ossia la capacita di ascoltarci e di esprimere chiaramente i nostri bisogni.
Non è possibile infatti fare una relazione di aiuto se ad esempio proviamo fastidio nei confronti di chi ci parla, se siamo stanchi o se proviamo qualunque tipo di disagio. l’autenticità è la capacità di saper dire no o di rimandare quando non siamo in grado di aiutare. Imparare a farlo è necessario per la salute e il benessere di ognuno di noi.
Le barriere comunicative sono delle FRASI che spesso utilizziamo quando qualcuno ci sta parlando di un suo problema o di una sofferenza che sta vivendo. Noi le diciamo per cercare di aiutare ma in realtà queste frasi, anche se dette con le migliori intenzioni, non aiutano come pensiamo.
Al contrario fanno sentire più soli e incompresi specialmente se dette a chi sta vivendo un momento di grande dolore. In certi casi possono causare anche una profonda rabbia. Vediamo alcune delle principali barriere comunicative:
La prima è SPINGERE A REAGIRE.. dicendo “Fatti forza… devi uscire.. non chiuderti in casa” in realtà, un vero ascolto incondizionato senza queste frasi aiuta molto di più le persone a tirare fuori le proprie risorse.
La seconda è RASSICURARE, con parole tipo “non ti preoccupare.. vedrai che andrà tutto bene” queste frasi, tranne casi particolari come con bambini piccoli, in una relazione di aiuto adulta tendono a “sminuire” il dolore dell’altro.
Per lo stesso motivo la terza barriera è MINIMIZZARE o CAMBIARE ARGOMENTO dicendo ad esempio “non pensarci.. non è niente.. parliamo di cose allegre”.
La quarta barriera comunicativa è SCHERZARE, fare battute per cercare di sdrammatizzare. Questo, se una persona sta molto male non fa altro che aumentare il suo dolore.
La quinta è CONSIGLIARE, il consiglio è utile SOLO quando ci viene richiesto ma spesso noi lo diamo come prima opzione senza soffermarci sull’ascolto.
Infine abbiamo INTERPRETARE della serie “Tu fai così perché in realtà.. vorresti che..” al di là che la nostra interpretazione sia giusta o sbagliata anche questo fa sentire “non capiti o giudicati”. Verrà il momento in cui la persona sarà pronta a capire il perché delle proprie emozioni e noi dobbiamo rispettare i suoi tempi.
Queste sono solo alcune delle barriere comunicative, ho voluto mostrarvi quelle più utilizzate. A questo punto mi direte, ma allora cosa possiamo dire per aiutare veramente una persona? Se vi interessa l’argomento vi invito a leggere il testo n°4 sull’ASCOLTO EMPATICO dove spiego come gestire al meglio una relazione di aiuto.
Intanto, quando una persona ci parla di un suo problema, iniziamo col non utilizzare le barriere comunicative e vedrete che il vostro ascolto sarà già più accogliente ed efficace.Lo schema del TRIANGOLO DRAMMATICO è stato ideato dallo psicologo statunitense Stephen Karpman e viene solitamente inquadrato nel contesto dell’Analisi Transazionale, un metodo di studio della personalità nato verso la fine degli anni ’50. Il triangolo drammatico teorizza che in una relazione tra due persone esistono in realtà tre diversi ruoli che possono essere interpretati:
1. VITTIMA
2. CARNEFICE
3. SALVATORE.Questi ruoli, spesso inconsci, vengono determinati attraverso le esperienze familiari e tendono a ripetersi a livello generazionale. Generalmente in ognuno di noi c’è un ruolo predominante ma spesso queste parti si alternano, condizionando tutte le nostre relazioni.
LA VITTIMA
Le ferite emozionali che si creano nei primi anni di vita tendono a creare nell’inconscio, il ruolo della VITTIMA. La vittima è una persona fragile e insicura, che valuta sé e i suoi comportamenti sempre in modo negativo, ha una bassa autostima e si considera non all’altezza degli altri. Il suo atteggiamento è di continua lamentela e autocommiserazione ma, nonostante la sofferenza, rimane nelle situazioni causa del proprio disagio. La vittima tende ad ammalarsi e somatizzare.
IL SALVATORE
A volte la vittima, per proteggersi dalla propria sofferenza evolve nel ruolo del SALVATORE. Il Salvatore è una persona con una grande spinta a prendersi cura dell’altro e a farsi carico dei suoi problemi di qualunque tipo essi siano. Egli ha un profondo bisogno di aiutare chiunque viva in uno stato di difficoltà o sofferenza, mettendo da parte le proprie necessità. Da questo comportamento è appagato solo momentaneamente mentre prova frustrazione e senso di colpa quando non riesce nel suo intento.
Il salvatore vede in ogni vittima una parte di sé e per questo spera che aiutando gli altri possa lenire anche le proprie ferite. Ma questa aspettativa viene regolarmente disattesa e ciò lo porta spesso a tornare nel ruolo di vittima o diventare carnefice a sua volta.
IL CARNEFICE
Quando una vittima profondamente ferita, trasforma tutto il suo dolore in rabbia e giudizio verso gli altri, assume il ruolo del CARNEFICE. Il carnefice nutre profonda rabbia ma è quasi totalmente inconsapevole del proprio disagio emozionale. Tale rabbia lo spinge a scaricarsi verso gli altri con atteggiamenti aggressivi o giudicanti che però giustifica con la forte convinzione di fare giustizia e di essere onesto ed imparziale.
LE REGOLE DEL TRIANGOLO
La prima grande verità che emerge dal triangolo drammatico è che, per quanto sia difficile da accettare, non esistono buoni o cattivi, ma solo uomini feriti, ossia vittime che evolvono in atri ruoli. Osservare le nostre dinamiche relazionali attraverso il triangolo ci abitua ad uscire dal giudizio e riconoscere gli schemi che tendiamo a ripetere.
I ruoli del triangolo seguono DUE REGOLE principali che possono condizionare fortemente tutta la nostra vita. Esse sono:
1. OGNI RUOLO ATTIRA UN SUO COMPLEMENTARE.
Il nostro ruolo inconscio agisce profondamente nelle scelte personali, ad esempio un Salvatore nella vita sarà sempre attratto da una Vittima e tenderà a sceglierla come compagno/a o come amico/a. A sua volta una Vittima attirerà un Carnefice. Questo spiega ad esempio come mai relazioni conflittuali e distruttive tendono a ripetersi e spesso si sentono dire frasi del tipo: “capitano tutti a me!” oppure “gli uomini/le donne sono tutti uguali..”.
2. OGNI RUOLO RAFFORZA LE DINAMICHE DELL’ALTRO.
Ossia, più io cerco di “salvare” una vittima, assumendomi le sue responsabilità individuali, più la vittima rimarrà tale, prosciugando tutte le mie energie. Allo stesso modo, più io rimango nel ruolo di vittima, non prendendomi le mie responsabilità, non facendo le scelte o i cambiamenti che mi competono più il mio carnefice continuerà a scaricare la sua rabbia e la sua aggressività contro di me. Questo avviene perché il triangolo segue sempre i due principi di RESPONSABILITÀ e LIBERTÀ. Non è possibile assumersi le responsabilità di altri né tanto meno non prendersi le proprie.
Lavorare sulle dinamiche relazionali attraverso questo strumento, ci aiuta a riconoscere i nostri ruoli in tempo reale senza scaricare la colpa sugli altri. È importante ricordare che tutti e tre i ruoli del triangolo drammatico derivano da un vissuto di sofferenza. Essi rappresentano una sorta di adattamento alle nostre esperienze nell’infanzia per cui non esiste un ruolo migliore o peggiore (il carnefice non è il cattivo e il salvatore non è il buono).
Per poter attuare un positivo processo di cambiamento verso relazioni più “sane” ed equilibrate è innanzitutto fondamentale riconoscere le nostre dinamiche comportamentali all’interno del triangolo. Il passo successivo può essere quello di intraprendere un percorso di crescita personale che vada a lavorare sulle proprie ferite emozionali e ci aiuti ad essere più autentici e consapevoli. Uscire dal triangolo infatti, significa semplicemente saper esprimere le nostre emozioni e i nostri bisogni, senza giudicare l’altro e fare delle scelte in sintonia col nostro sentire, ossia ritrovare la “libertà di essere noi stessi”.
Viviamo la nostra vita intrappolati in un flusso di pensieri continuo. Questa è la più grande prigione che ogni essere umano sperimenta quotidianamente, spesso senza neanche rendersene conto.
La mente è connessa all’IO che possiamo vedere come la nostra identità superficiale che si è si è formata con le esperienze di vita.
L’IO è necessario per la nostra esperienza terrena ma vive costantemente nel PASSATO o nel FUTURO. È una voce interiore che parla senza sosta, giudica, spera, fa congetture e spesso ripete sempre gli stessi pensieri.
Non riusciamo mai a vivere nel momento PRESENTE, se non per pochi attimi, e questo può essere causa di insoddisfazione, disagio e infelicità. Se potessimo sperimentare la pace e la calma mentale, che risiede nel “qui ed ora”, cioè nel vivere il “presente” non vorremo più uscire da tale stato, il problema è che siamo talmente abituati a vivere immersi nei pensieri che crediamo sia la normalità ma non è così.
Risiede in noi un SÉ più profondo e sacro, che possiamo anche chiamare “anima”, è quello che il maestro Eckhart Tolle definisce “l’osservatore silenzioso”. Il SÉ è la nostra vera natura divina e vive sempre nel presente perché solo nel presente risiede la pace interiore. Questo possiamo sperimentarlo anche nella vita quotidiana.
Per entrare in questo stato però, ognuno di noi deve fare il proprio cammino. Esistono tante strade, tante pratiche ma tutte ci riportano all’importanza del “qui ed ora”. Per questo è necessario, cominciare a portare sempre più presenza nella nostra vita. Possiamo iniziare dalle piccole cose quotidiane, ad esempio quando ci laviamo le mani, i denti, quando ci vestiamo, quando mangiamo o facciamo le scale.
Cerchiamo di fare una cosa alla volta, senza pensare a ciò che viene dopo. Cominciamo a percepire ogni sensazione fisica e ogni volta che arriva un pensiero riportiamo la nostra attenzione su ciò che stiamo facendo, senza giudicarci. Pratichiamo la presenza più spesso possibile e non arrabbiamoci quando non ci riusciamo. Ogni passo che muoveremo in questa direzione, ci porterà verso un senso di pace interiore che è il nostro vero stato naturale, è semplicemente la connessione con il divino che è in noi.